“Peace for all”, pace per tutti, hanno scritto sul grande striscione bianco con i colori giallo e blu: quelli del loro Paese, l’Ucraina, sotto attacco da due settimane dalle forze russe di Putin. Pugni alzati e un minuto di silenzio per ricordare i soldati morti: così hanno protestato contro la guerra, gli atleti paralimpici ucraini nel Villaggio a cinque cerchi di Zhangjiakou, qui ai Giochi di Pechino. “Questa guerra deve essere fermata. Le persone, le donne e i bambini meritano di vivere, non di morire”, scandisce il presidente del Comitato paralimpico sulla sua carrozzina e il pugno sinistro alzato. “I russi hanno bombardato molti ospedali e scuole. Abbiamo bisogno del vostro sostegno oggi, non domani. Le persone che attaccano aree civili non possono dirsi esseri umani”, continua il capo degli allenatori. Approfittando della pausa degli allenamenti e delle gare, hanno voluto organizzare una cerimonia in omaggio ai caduti mentre combattevano per difendere il Paese. Loro, per colpa della guerra, in Cina ci sono arrivati appena due giorni prima dell’apertura dei Giochi, e che oggi sono terzi nel medagliere: sei ori. “Il loro viaggio finora è una delle storie più straordinarie mai vissute nello sport”, ha detto alla France Presse il presidente del Comitato paralimpico internazionale. “Il fatto che gareggino qui e rimangano concentrati sulla competizione, sapendo cosa sta succedendo nel loro Paese, è incredibile”. Era stato lo stesso presidente del Comitato paralimpico a raccontare alla Reuters la settimana scorsa l’incredibile viaggio che lui e la delegazione ucraina avevano dovuto affrontare. “Ho dovuto dormire sul pavimento dell’autobus per due giorni, mentre altri membri della delegazione hanno dovuto evitare i missili per uscire dall’Ucraina. Ci sono voluti quattro giorni e quattro notti per arrivare a Pechino”.

GIULIA CAPORRELLA

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