Fascino, interesse, curiosità, volontà, sapienza, esistenza, ragioni, sentimenti.

Questi sono (alcuni) effetti della sacra parola “cultura”. Hai letto bene, sacra: quello è l’aggettivo più adatto! Perchè? Ogni territorio ha la propria cultura, ma anche l’umanità intera, altrimenti decadrebbe il sistema UNESCO. Tale concetto porta ogni popolo ad esserne condizionato. La situazione diviene interessante quando questo condizionamento acquisisce forza di legge. Siamo nel 1748 a Ginevra. Un periodo molto complesso (culturalmente). C’è una rivoluzione. L’Illuminismo! In quel periodo in cui i termini più menzionati erano “lume” e “ragione”, un filosofo francese pubblicò un saggio. Quell’opera sarà uno spartiacque! “Lo spirito delle leggi”. In questo saggio, Montesquieu spiega che ogni stato ha leggi differenti. Ciò perchè le leggi di ogni stato derivano dalla cultura del territorio. Le norme si basano sulle necessità del popolo e si conformano alla cultura stessa. 

Questo potere della cultura si nota in alcuni fenomeni. Carla Lonzi, filosofa, critica d’arte ed importante attivista femminista italiana degli anni Settanta del secolo scorso, ci suggerisce una definizione di cultura partendo dalla discriminazione di genere. Cerca di definirla per denunciare come essa limitasse giuridicamente e socialmente la donna.

Nei suoi scritti, come “Sputiamo su Hegel” oppure “Assenza della donna dai momenti celebrativi della manifestazione creativa maschile”, vediamo che il termine cultura viene usato come sinonimo di filosofia, letteratura, leggi, religione. Nella sinossi dell’opera si legge “se il passo iniziale per ritrovare una propria identità è quello di mettere in dubbio la cultura – filosofia, religione, politica, arte –  il passo immediatamente seguente riguarda il rapporto sessuale e il ruolo che la donna vi svolge”. La sua fusione con l’idea di potere si vede nel “Manifesto delle donne”, alla cui redazione Lonzi ricondusse “le forme ragionate di potere (teologico, morale, filosofico, politico)”.

Cos’è dunque la cultura? Trovare una definizione porta a barcamenarsi in un mare magnum. 

Ci affidiamo dunque all’Enciclopedia Treccani. Si legge: “L’insieme delle cognizioni intellettuali che, acquisite attraverso lo studio, la lettura, l’esperienza, l’influenza dell’ambiente e rielaborate in modo soggettivo e autonomo diventano elemento costitutivo della personalità, contribuendo ad arricchire lo spirito, a sviluppare o migliorare le facoltà individuali, specialmente la capacità di giudizio.

Vediamo se gli studenti della nostra scuola convengono con la celebre enciclopedia. La nostra redazione ha effettuato un sondaggio. Abbiamo chiesto, tra le varie domande, di proporre una definizione di cultura e abbiamo avuto questa definizione: “La cultura è ciò che permette di formarci, di capire noi stessi, di migliorare le relazioni interpersonali e di rispettare i sentimenti e le tradizioni altrui, in quanto frutto della loro storia. Spesso si cade nell’intolleranza e nel pregiudizio ed è per questo che è importante informarsi ed essere sempre pronti al confronto con gli altri”. La cultura appare una modalità per essere indipendenti e per riflettere su se stessi. Si potrebbe dire che rende liberi. Questione non leggera sulla quale torneremo più avanti. Gli intervistati fanno notare che la scuola fa accedere alla cultura (84,2%). Questo dato è importantissimo alla luce del dibattito sulle strategie da adottare nelle scuole durante la pandemia.

Si nota anche che, in linea con quanto asseriva Carla Lonzi, la filosofia (68,3%) e la letteratura (70,2%) siano fondamentali e da includere nell’idea di cultura. 

Si sono notati tre snodi importanti: rapporto della cultura con libertà, filosofia e letteratura.

Risposte a tali questioni le abbiamo tramite un’intervista fatta dalla nostra redazione a Nicholas Loru, dottore in filosofia, admin della seguitissima pagina filosofica_mente su instagram.

Nicholas, sto svolgendo un’inchiesta sulla cultura; tu cosa si intendi per “concetto di cultura”? 

<<La nozione di cultura è tra le più bistrattate, assieme forse a quella di natura e scienza. Si badi bene, lo è sempre stata,  fin dagli antichi Greci, ma ha assunto uno sdoppiamento di significato che l’ha ambiguata a partire soprattutto  dall’Umanesimo. Proprio l’universalità o l’onnicomprensività del concetto di cultura ha fatto sì che lo si manipolasse,  confondesse, travisasse, perfino banalizzasse. La definizione comunemente assunta, quella propria del senso comune, è  infatti quella di cultura come di possesso di informazioni e conoscenze. Un uomo di cultura, allora, è colui che ha tante  cose in testa, ha una o più lauree; è una questione talvolta anagrafica, talvolta accademica, talvolta di sfoggio. In ogni  caso, rimane un concetto legato all’avere e tanto più il soggetto sa, tanto più si ritiene sia colto. Quest’idea  materialistica, nozionistica, enciclopedica e mnemonica – decisamente anticulturale – di cultura nasce dall’identificare una cultura con la propria visione del mondo. Ma se questa cultura non è che la propria cultura, ciò che si fa è estendere  la propria culturalità alla Cultura con la ci maiuscola, assolutizzando uno sguardo del tutto contingente e isolato. Così,  l’uomo colto per il greco è colui che parla greco (perché nella cultura ellenica si parlava greco), il colto  dell’Umanesimo era il colto che leggeva, traduceva, conosceva i classici dell’antichità, si dava alle “humanae litterae”  (giacché nel Quattrocento si leggeva, traduceva a studiava l’età aurea dell’Occidente), e via dicendo. Una definizione che  invece è sana, equa e proficua di cultura è invece quella proposta dall’antropologia, una scienza che essendo  transculturale per definizione non ha e non può avere una visione culturalizzata di cultura. La prima, quantomeno tra gli  specialisti, definizione antropologica di cultura ce la dà Tylor in “Primitive culture”, parlando di <<cultura>> come di un  insieme di simboli, costumi, pratiche, idee religiose, giuridiche, politiche, concettuali, tecnologiche e via dicendo di una  comunità sociale. Notiamo alcune cose non indifferenti: la cultura non è solo un sapere ma anche un fare, riguarda  l’Occidente come l’Oriente, non c’è società che non sia culturale e non c’è cultura che non sia sociale, è una  componente non necessariamente umana ma proprio di ogni forma di collettivo. Così non è un qualcosa di elitario,  politicizzato, eurocentrico e classicheggiante come la voleva un Cicerone, ma qualcosa di universale, polisemico,  variegato e interpersonale come lo vogliono gli etnologi. Cultura è quella africana, cultura è quella preistorica, cultura è quella del primate che possiede una tecnica di lancio e rottura di oggetti attraverso altri oggetti, la condivide, la  tramanda, la migliora>>.

Ultimamente hai postato un aforisma di Plotino: “Tre sono le strade di ritornare al Cielo: l’una per via della bellezza o dell’amore; la seconda della musica; la terza della Filosofia”, dunque qual è secondo te il nesso tra cultura e filosofia?

<<Strettissimo, indissolubile. La filosofia è emanazione della cultura e delle culture: figlia del suo tempo, delle sue  tecnologie, dei suoi moti storici, artistici, politici. La filosofia altamente politica e libertaria illuminista non è la stessa  pessimista e individualista ellenistica; la filosofia prima delle scoperte cosmologiche o infinità dell’universo non è la  stessa del geocentrismo e invenzione della stampa a caratteri mobili (o digitale). D’altra parte, anche la cultura è emanazione della filosofia o meglio, dei filosofi. Pensiamo alla cultura dopo Galileo, Darwin, Cartesio, Kant, Derrida: è irriconoscibile rispetto alle precedenti forme di simbologie e narrazioni condivise. Ecco perché non c’è storia della  filosofia senza storia delle idee – e viceversa>>.

Ogni filosofia è figlia del suo tempo, influenza e viene influenzata dal contesto culturale, ma non possiamo considerare solo questo aspetto. La letteratura che rapporto ha con la cultura?

<<Esattamente lo stesso che ha la filosofia con la cultura: sono interne ai processi culturali, ne fanno parte e giocano di  interazione con tutte le altre componenti. Parliamo di un tutto che è maggiore della somma delle parti, perché se  sostituiamo un aspetto (supponiamo di fisica teorica) con un altro (teologico), non abbiamo più quel risultato. Tanti  letterati hanno anticipato o trattenuto certe epoche, ma sempre alla luce del loro clima culturale obiettivo>>.

Tempo fa, precisamente il 20 dicembre, hai pubblicato un post sul concetto di libertà, chiamando in causa intellettuali come Platone, Spinoza, Kant, Epicuro (giusto per citarne alcuni); secondo te, la cultura si raggiunge con/ fa raggiungere/ è la libertà?

<<Mi fa piacere trovare già nella tua domanda quella che è la mia risposta: la biunivocità tra libertà e cultura (e  filosofia). Se fossilizzi lo scambio, dunque la personalizzazione, dunque l’inevitabile modificazione  delle idee, esse non sono più tali ma dogmi, verità precostituite, articoli di fede. Abbiamo citato prima, tra le  caratteristiche della cultura alla Tylor, proprio l’interpersonalità, la fluidità, l’ossigenazione di cui la cultura ha bisogno  perché sia cultura. Senza quello spazio di libertà la cultura muore. Non stupisce se nelle epoche più buie, pensiamo ai totalitarismi, la standardizzazione ideologica ha asfissiato la libertà di espressione, la crescita culturale dell’intero  pianeta. In ottica storica, anche quella fascista è una cultura, ovviamente, ma lo è stata entro una comunità di adepti, non  è stata condivisa apertamente. Piuttosto parliamo di una subcultura, come lo era quella della Resistenza, quella di Gramsci, ad esempio. Solo dopo ce ne si è appropriati. Dunque la cultura è libera ed è liberata dalla libertà, in modo  eminente e linfatico>>.

Alla luce dei tuoi studi e anche a quella del tuo ultimo approccio alla filosofia del gioco, come deve essere una scuola ideale per dare vera cultura? Cos’è questa filosofia del gioco?

<< Perché la scuola, ma direi ogni paesaggio della formazione, sia concretamente ideale allo scambio culturale, essa  deve aprirsi anziché chiudersi, demolire numerose barriere che la ingabbiano in certi schematismi. Anzi, senza questo  direi che non solo non c’è cultura, ma non c’è proprio scuola. Bisogna che ci sia dialogo tra studente e docente, tra  studente e studente, docente e docente, ma anche disciplina e disciplina: non si deve vedere come un cattedratico il  professore né un vaso da riempire lo studente. Come insegna Plutarco, la mente è un fuoco da accendere, non un  contenitore dalla capienza limitata. Quindi apertura, apertura aperta anche alle influenze culturali esterne: che entrino a  far parte dell’universo del discorso e degli strumenti le tecnologie, la bioetica, la morale odierne; le dinamiche politiche  nazionali e internazionali, al di là del programma inattuale o del dato da imparare a memoria. La missione di una scuola  di questo tipo è impegnativa, all’opera faticosamente da qualche anno, ma saprà dare generazioni più coscienti,  proprio perché libere e feconde di cultura – quella vera, cioè anche sportiva, estetica, pratica.  La filosofia del gioco può aiutare tanto, in questo senso, ma per rispondere alla seconda parte della tua domanda,  brevemente, inizierei col dire che il gioco è uno dei più grandi non-detti, cioè una svista, una voluta dimenticanza, talvolta perfino una censura manifesta, della filosofia. La filosofia ha, seppure con alcune sparute eccezioni, fin da  subito peccato di logocentrismo, cioè totalitarismo della ragione, dittatura della logica, astrattismo speculativo. La  massima è stata per tanto, troppo tempo “tante parole, pochi fatti”, e così si è creata un’idea archetipica viziata del  filosofo “tra le nuvole” e della filosofia che di sessualità, mondanità, dipendenze, concretezze non ha speso che qualche riga a piè di pagina. Il gioco rientra nel novero di quei silenzi sospetti. Oggi è un ambito in crescente presa di centralità  tra evoluzionisti, psicologi, pedagogisti, che ne osservano le utilità evolutive, psicologiche ed educative per l’animale  umano e non umano; ma anche statistici e matematici (celebre è la theory of game), linguisti (linguistic game),  psic(o)analisti e perfino teologi; senza dimenticare sociologi, antropologi, medici che studiano i riti, le forme più  insolite, le ludo e azzordopatie. Io, in quanto filosofo, cioè studioso dell’universale, studio ciascuno di questi aspetti in un’ottica totale e totalizzante per mostrare come uno sguardo sul gioco (infantile, animale, virtuale, sessuale,  patologico) sia essenziale per uno studio esauriente e vero della vita e del mondo>>.

Per chiudere, una curiosità: qual sono il filosofo e il poeta a te più cari?

<<Direi che questa è forse la domanda più imbarazzante che mi si possa fare, nel senso che sono tanti filosofi che  occupano un posto nel mio cuore, tutti per ragioni diverse, e con molti di questi ho in verità numerosi problemi in  sospeso – odi et amo, no? Dal punto di vista autobiografico, sono a me molto cari Eraclito, Platone, Epicuro e Plotino,  ad esempio; dal punto di vista bioetico e più intimo i pitagorici e Plutarco, Montaigne, Spinoza e Derrida, ma anche  Feuerbach, Nietzsche e Heidegger. Ad oggi, innamorato del postmoderno come sono, probabilmente però direi Rovatti,  Vattimo e Rorthy. Ma voglio dire, perché sceglierne uno quando li si può studiare e leggere tutti?>>.

 Abbiamo visto come la cultura si leghi a letteratura e sapienza.  Essa è anche libertà, ma allo stesso tempo potere. Ora sta a noi servirci al meglio di questo libero potere!

Federico Proterra

Di admin