di LUCA MASTROGIUSEPPE
Se ne sente sempre parlare. Ma che cosa è il “Buco dell’Ozono”? E’ una riduzione dello spessore dello strato di ozono nell’atmosfera terrestre, la fascia che ci protegge dai raggi ultravioletti. Attualmente il “buco” si trova prevalentemente sopra il Polo Sud del nostro pianeta e si espande del 5% ogni 10 anni. Questo accade perché le zone polari sono meno esposte all’irraggiamento solare, per cui si verificano minori reazioni fotochimiche tra le molecole d’ozono e le radiazioni solari. Inoltre, le basse temperature facilitano la degradazione dell’ozono. Il Buco dell’Ozono è causato dal rilascio di alcune sostanze inquinanti da parte dell’uomo, sia dalle attività produttive. A partire dalla seconda metà del Novecento, lo strato si è progressivamente assottigliato a causa del rilascio nell’atmosfera di alcune sostanze inquinanti come i gas clorofluorocarburi utilizzati principalmente nelle bombolette spray e negli impianti refrigeranti. Se lo strato si riduce, aumenta la quantità di radiazioni che raggiunge la superficie terrestre. Queste radiazioni in quantità minime non sono dannose, anzi sono utili: per esempio, sono importanti nella nostra formazione della vitamina D. A dosi maggiori, però, questi raggi ultravioletti possono alterare gli equilibri della biosfera del nostro pianeta e la stessa esistenza della vita come oggi la conosciamo. Però, c’è una buona notizia: Il buco dell’ozono si sta chiudendo. Non è questione di attimi ma, secondo questo rapporto dell’Onu, la chiusura completa arriverà in Antartide intorno al 2066, cioè in un arco di anni compreso tra il 2049 e il 2077, mentre sull’Artico avverrà intorno al 2045. Nel 2040 invece il buco dell’ozono si chiuderà nel resto delle terre emerse comprese tra la latitudine 60 nord e la latitudine 60 sud. Nonostante queste buone notizie, sono ancora minimi i progressi per contrastare le altre cause del riscaldamento climatico, come l’emissione di gas serra. Con il riscaldamento mondiale che è già arrivato a 1,2 gradi sopra i livelli preindustriali, sembra sempre più votato al fallimento l’obiettivo della conferenza di Parigi di limitare l’aumento di temperatura, segnato a 1,5 gradi sopra i livelli preindustriali entro il 2030 – o entro i 2 gradi come limite massimo. La ragione sta nel fatto che gli accordi internazionali sottoscritti con questo scopo sono sempre presi esclusivamente su base volontaria. Con le politiche attuali, a fine secolo il riscaldamento arriverebbe a 2,8 gradi. Se anche le promesse di riduzione si concretizzassero, il riscaldamento si arresterebbe comunque sui 2,4-2,6 gradi. Troppo poco, troppo tardi.

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