Cari amici, cari compagni, vi prego: nei vostri percorsi di vita, disobbedite. Ascoltate con attenzione la vostra coscienza, dialogate sempre con tutti, e poi fate quello che volete: disobbediamo insieme.

Non sprecate le vostre occasioni di essere liberi: amate e fate quello che volete.

“Legalità!” sento già gridare. Cari amici, cari compagni: noi rispondiamo “Giustizia!”.

La nostra educazione scolastica è diventata istruzione alla legalità, non si parla d’altro che di legalità, fra una lezione di educazione civica e l’altra. Ma almeno sappiamo cosa significa legalità? “Conforme a quanto prescritto dalla legge”, ci risponde il dizionario. Legalità non significa fare la cosa giusta; significa fare quanto qualcun altro ha pensato per noi, nulla più. Milioni di ebrei sono stati vittime della legalità, perché a quel tempo la legge era chiara a Norimberga. Il concetto che ci stanno insegnando a scuola è che “la libertà senza ordine e disciplina significa dissoluzione e catastrofe”. Sapete di chi è questa frase? Di un tal Benito Mussolini, uno dei più intransigenti difensori della legalità e del rispetto delle regole.

“Ma le regole sono regole!”, sento già gridare. Cari amici, cari compagni, prima rispettiamo la nostra coscienza, con animo sincero.

Legge, ricordiamocelo sempre, si scrive con la minuscola. È la stessa Costituzione a riferirsi alla legge sempre e solo con la minuscola: per evitarne la sacralizzazione, come invece avviene in questi tempi.

Di fronte a ogni ingiustizia, cari amici, cari compagni, trattate la legalità per quello che è, ovvero un bastone per ciechi: perché solo un cieco ha bisogno che la legge gli dica ciò che è giusto fare e ciò che, invece, non è lecito. “Ne i luoghi aperti e piani i ciechi solamente hanno bisogno di guida” diceva Galilei. Speriamo che oltre al nome, abbia lasciato anche altro alla nostra scuola.

PIERFRANCO MARIA DI ZIO

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