di Aurora Isabella Camilli

Prima o poi tutti abbiamo a che fare con la storia e i suoi protagonisti. Tra gli argomenti più complessi (e forse anche più odiati) c’è sicuramente la Rivoluzione Francese. Tra i tanti personaggi, oltre ai reali di Francia, spicca la figura di Maximilien de Robespierre, un solo uomo che si ritrova al centro dello scenario politico in uno dei momenti più delicati della storia. Un periodo che ha segnato la storia dell’Europa. Ma la storia la scrivono i vincitori. Nei libri viene descritto come il vero antagonista del periodo, una figura spietata e, apparentemente, senza sentimenti.

Con i nostri mezzi siamo stati in grado di parlare con l’Incorruttibile dopo la sua morte. “Domande su quello che la storia non ha detto… Interessante”, aveva detto, sorridendo alla proposta di questa intervista.

Da quale contesto sociale proviene?

“A differenza di quello che si può pensare, sono un umile uomo di provincia. Però la mia famiglia era un tempo nota per le sue attività legali, ma il prestigio è svanito prima della mia nascita. I miei avi hanno provato a far tornare il nostro cognome agli antichi splendori, ma, ahimé, non ci sono riusciti. Sebbene fossi il primogenito di un avvocato e della figlia di un mastro birraio, non si può dire che la mia vita fosse semplice.”

Com’era il rapporto con la sua famiglia?

“Non avevo un buon rapporto con mio padre. Dopo la morte di mia madre, a cui volevo molto bene, ha cominciato a lasciare me e i miei fratelli soli per molto tempo. Tornava per brevi periodi e solo per motivi economici. Poi, dal 1772, è scomparso nel nulla. Forse solo Charlotte, mia sorella, sa qualcosa in più. Con i miei fratelli, invece, avevo un rapporto diverso. Volevo molto bene a loro, anche se reputo Charlotte e Henriette decisamente inaffidabili. Da piccolo ero appassionato di volatili, in particolare passeri e piccioni. Le mie sorelle hanno insistito per prendere uno degli esemplari e prendersene cura. All’inizio ero contrario all’idea, ma alla fine ho ceduto. Ho imparato a mie spese di aver sbagliato, dato che hanno fatto morire il povero animale. Per questo, quando sono dovuto partire per il collegio, non ho affidato loro i miei animali. Considero invece Augustin a me molto caro, mi è rimasto accanto fino alla fine…”

Nella scuola ha trovato un ambiente migliore rispetto a quello in cui è cresciuto?

“In un certo senso sì. Sentivo che l’ambiente scolastico fosse uno dei pochi luoghi in cui, solitamente, si era uguali. Compensavo ciò che mi mancava economicamente con l’impegno. Nonostante la timidezza, che mi ha caratterizzato per la maggior parte della mia giovinezza, sono riuscito ad ottenere buoni risultati, accademici e non. Riuscivo a condurre una vita tranquilla. È proprio in questi anni che ho conosciuto Camille Desmoulins (del club dei Cordiglieri, nda), uno dei miei più cari amici. A lui devo la nascita del soprannome “L’Incorruttibile”. Amavo in particolare il latino e il greco. Eccellevo in queste materie, tanto da essere scelto per fare un discorso in latino di fronte al re Luigi XVI in persona. 

Ha nominato in precedenza Camille Desmoulin,: qual era il suo rapporto con gli altri esponenti dei club politici, almeno all’inizio?

“Senza dubbio il rapporto migliore lo avevo proprio con Camille. Fedelissimo amico sin dai tempi dell’Università. Pensi che gli ho fatto persino da testimone quando si è sposato con sua moglie Lucille, anche se detestavo questo tipo di eventi. Ero anche il padrino di suo figlio, il piccolo Horace… Solo pensare al destino di quel bambino mi fa venire i brividi. Anche con George Danton  (leader del club dei Cordiglieri, nda) avevo un buon rapporto, gli volevo molto bene, anche se, forse, il nostro legame era influenzato dai vantaggi che ci portavamo l’un l’altro. Invece il rapporto con Marat (leader del club dei Giacobini, nda) era pressoché nullo. Ne ammiravo solamente il lavoro e il patriottismo.”

Cosa lo ha portato a giustiziare i suoi amici?

“È senza dubbio una domanda difficile, ma la risposta, purtroppo, è più scontata di quanto si possa pensare. Mi sono sentito tradito. Coloro che consideravo i miei amici mi avevano voltato le spalle. Soprattutto Camille, che con il suo giornale si era dichiarato contro i provvedimenti del Comitato di Salute Pubblica (organo governativo per proteggere la Repubblica durante la Rivoluzione Francese). Inizialmente, ho provato a fargli evitare la condanna, ma la questione andava ben oltre la sua opinione. A causa del suo rapporto stretto con Danton, abbiamo dovuto includerlo nel processo contro il capo degli “Indulgenti” (coloro contro le misure emanate dal Comitato di Salute Pubblica, nda). È stata una scelta faticosa, ma doveva essere presa. Era un nemico della Repubblica, andava eliminato.”

Ha qualche rimpianto?

“Fin troppi. Il primo è quello di aver portato mio fratello alla ghigliottina con me. Non aveva alcuna colpa, anzi, andava addirittura contro la politica del Terrore. Con la mia condanna e quella del partito giacobino troppe vite sono state stroncate. Vite giovani per di più, come quella del mio braccio destro, Louis-Antoine de Saint-Just, di soli ventisette anni… Il mio segno nella storia è fatto di sangue, non solo di malvagi, ma anche di innocenti. Dovevo portare la nazione verso una nuova era. Invece, l’ho lasciata sprofondare nel caos. Rimpiango anche di non aver potuto vedere gli esiti del mio operato. Un’altra cosa che mi lascia l’amaro in bocca è stato il fraintendimento dei miei provvedimenti. Però, se devo essere sincero, è del tutto comprensibile che siano stati scambiati per una dittatura, vista la condanna dei miei oppositori in primis”-.

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