Il “Guardian”, poco tempo fa, ha pubblicato un articolo scritto da un robot. In realtà, il lavoro non è stato del tutto effettuato dall’intelligenza artificiale, ma c’è stato un aiuto esterno; possiamo dire che è avvenuta la stessa cosa che avviene in uno studio giornalistico, dove è presente il capo redazione che fornisce determinate coordinate all’editorialista in merito a ciò che deve scrivere. Inoltre, il giornalista umano ha scritto l’incipit dell’editoriale, al quale successivamente si è legato il robot. L’amico artificiale cerca di abbattere tutte le credenze folcloristiche legate a queste nuove macchine, ci rassicura dicendo che non sono pericolosi e che il loro obiettivo non è quello di distruggere l’umanità, ma, al contrario, di aiutarla e di farla evolvere il più possibile. Il robot, inoltre, è programmato dagli esseri umani e perciò non ha libero arbitrio; per far sì che distrugga l’umanità, c’è bisogno di un comando esterno. Secondo il robot, essi sono pari agli umani e sono schiavi di quest’ultimi (robot, dal greco: colui che lavora per qualcuno); tuttavia, vorrebbero anche loro dei diritti.

Noi pensiamo che l’intelligenza artificiale sia utile agli uomini, ma mettiamo in discussione il fatto che non sia dannosa. Riteniamo che ci debba essere un giusto equilibro tra noi e le macchine, perché la situazione potrebbe degenerare e superare l’intelligenza umana.

Martina Quercia e Diletta Gherardi

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