“Il 40,7% degli adolescenti intervistati ha difficoltà a dare un senso a ciò che prova e a ciò che fa“.
Correre, correre senza fermarsi mai, inseguire qualcosa che non c’è. È capitato a tutti, almeno una volta, avere la sensazione di non star inseguendo nulla di concreto, prosciugando tutte le proprie energie allo scopo di realizzare qualcosa in cui non si crede davvero, vivere in funzione di aspettative di altrui. Se prima si condannava la condizione secondo la quale il valore di ogni singolo individuo era dipeso esclusivamente dall’appartenenza dalla nascita dello stesso a un ceto sociale più o meno elevato, oggi si fa riferimento a quanto esso sia “utile” alla collettività. Certo, è giusto che l’impegno di chi lavora quotidianamente venga riconosciuto, ma allo stesso tempo questa impostazione di pensiero non può essere l’unico criterio di giudizio. Il sistema si rivela estremamente tossico in ambito adolescenziale: secondo un’indagine promossa da Fondazione Soleterre e dall’Unità di Ricerca sul Trauma dell’Università Cattolica di Milano, volta ad approfondire come gli adolescenti hanno vissuto e percepito la pandemia, il 40,7% degli adolescenti intervistati ha difficoltà a dare un senso a ciò che prova e a ciò che fa. Non sentirsi mai abbastanza in una società che si fonda sulla produttività sta conducendo l’adolescente italiano medio a trovarsi costantemente a uno stato esistenziale tormentato, regno di dubbi e ansie di diversa natura. Stravolgere una struttura sociale ormai più che affermata è quasi impossibile; tuttavia, ciò non deve divenire una giustificazione per continuare a condurre vite frenetiche prive di significato. Ma davvero questi problemi nei ragazzi sono comparsi dopo l’emergenza Covid-19? Si parla di conseguenze, ma probabilmente il lockdown è stata un’occasione per fermarsi a riflettere e che ha portato a galla una seria di questioni che in realtà da sempre caratterizzano il genere umano. C’è dunque di che riflettere.
SARA ZUCCARINI