A volte è meglio tacere e sembrare stupidi che aprir bocca e togliere ogni dubbio (Oscar Wilde)

Innumerevoli le volte in cui mi sono sorpreso, come accade da anni, di pontificare sulla logica matematica, divagando su quanto sia sterile, fredda, scadendo in una serie di analoghi giudizi accusatori. Logica matematica a parte, quante volte lo facciamo? Più chiaramente: quante volte volte condanniamo ciò che o non ci piace, o non conosciamo o semplicemente in quanto diverso da noi? Umano, troppo umano, direbbe Nietzsche, ma anche meschino, troppo meschino. Imparare a guardare oltre i propri limiti è una sfida immensa. Imparare a non giudicare “in toto” non ci è donato, ma ci è dato almeno l’essere consapevoli di quanto il nostro giudizio valga ben poco, giusto per autocelebrarsi nella chiesetta del proprio “ego” e farsi, infine, esplodere il fegato colmo di rabberciate verità solipsistiche. Quante volte mi sono reso conto di essermi scagliato contro quello che semplicemente infastidiva la mia ignoranza, la mia presunzione, la mia piccolezza. Riconoscerlo è un grandioso vaccino per salvarci dall’estinzione della nostra anima (o comunque vogliamo chiamare quella entità che ci rende uomini e donne) e non fugaci trasmissioni nel flusso infinito di un’esistenza in cui sostiamo così poco: sprecare il tempo puntando il dito contro il diverso è davvero una iniquità indegna. 

Così, “io” ho ragione quel tanto che basta a soddisfare la storiella alla Saint Exupery, in cui domino incontrastato sul mio pianetino, magari tacendo, o ancor meglio tacciandomi volontariamente. Ma l’universo è sconfinato e sento il bisogno di abbandonarmi a quel regno che tutti, ogni giorno, ci accompagna e che pure non giudica nessuno e ci fa vivere, il quotidiano regno della mente sciolta nel tutto, taciturna. 

Simone Di Francesco

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