In vista dell’ultimo obiettivo in carriera, il fenomeno svizzero pianifica l’avvenire, condito dagli affetti e dalle passioni

Dopo 13 mesi di lontananza dalle arene, Re Roger è tornato in campo il 10 marzo in Qatar, a Doha, un luogo in cui i suoi record continuano a non essere infranti. Ancora affamato di professionismo, lo svizzero ha dichiarato di prepararsi per l’ultimo atto della sua pluripremiata carriera, nel campo simbolo dell’inizio delle sue grandi imprese, quello di Wimbledon. Con uno sguardo al futuro, ammirando il passato, la stella del tennis ha rilasciato un’intervista dalla sua dimora in Svizzera.

Come ci si sente, dopo tanti giorni, a tornare in campo con moltissime aspettative all’età di 39 anni?

“Protetto, dai fan e dalla passione. Ho mantenuto attivo il corpo 13 lunghi mesi, ora mi tocca sperimentarne le nuove potenzialità. Non gareggio più contro gli altri, sfido costantemente me stesso. E’ questione di dedizione, tutto qui. Credo di poter offrire ancora una goccia di sudore a questo sport, il mio dovere è farlo divertendomi e divertendo.”

Dovrà affrontare ruspanti giovani dai mille virtuosismi atletici: crede ancora di poterli annientare con la sua eleganza tecnica?

“Credo che quella che affronterò sarà una nuova generazione, dalle mille risorse e dalle mille debolezze. Oltretutto, intorno agli anni 2000, anch’io dovetti confrontarmi con un altro stile di gioco. Risiede tutto nell’adattamento, un po’ come nella vita.”

Chi è stato il suo mentore? Sa che potrebbe esserlo lei per molti giovani amatoriali?

“Ho sempre ammirato il concetto di ispirazione, è stato il carburante dei miei successi. Ho avuti diversi mentori, ma Peter Carter è stato il più importante. Grazie a lui, nella Zurigo di un tempo, ho mosso i primi passi sui campi da tennis, e da lì è iniziata la magia. Per quanto mi riguarda, credo di poter essere una buona ispirazione, spero però di continuare ad esserlo soprattutto fuori dal campo, dove è veramente importante essere prima uomini che giocatori.”

E’ il simbolo dell’eleganza e della gentilezza sportiva: cosa significa per lei?

“E’ un onore essere annoverato in questa categoria, che son sicuro sia molto popolata. Devo dire che, cominciando dai miei genitori, mi è sempre stata inculcata la necessità di essere affabili, gentili e grati. Ho avuto grandi fortune, rispettarle è il minimo che possa fare.”

Ha citato i suoi genitori, com’è stato il suo rapporto con loro?

“Istituzionale. Sia mamma che papà hanno impersonato la figura del genitore severo, sempre con la nobile intenzione di educarmi. Lo ammetto, avrei voluto che fossero stati più amichevoli, ma poi nel corso degli anni ho capito che hanno forgiato il mio carattere, aiutandomi a non perdermi nelle debolezze della vita.”

Lei crede di essere un buon padre?

“Credo di esserlo, non so se buono (ride). In realtà, credo di essere prima padre e poi Roger. Con questo intendo che il grande dono dei miei quattro figli mi ha insegnato a mettermi in disparte, a scendere dal podio del primo posto e ad accontentarmi della medaglia di cartone. E’ stata dura, perchè l’oro mi è sempre piaciuto, ma è per loro che ce l’ho fatta.”

Come si vede tra dieci anni? Quale sarà il suo futuro?

“Felice, mi basta questo. Sdraiato su un’amaca qui a Wollerau, con un giornale in una mano e la racchetta in un’altra, pronto ad istruirmi e sfogarmi. Il mio futuro? Sulle montagne del Cantone con la famiglia, sempre tifando Basilea.”

Cosa consiglierebbe ad un giovane tennista?

“Non emulare Roger, scopri te stesso. Osserva, apprendi, inventa ed esegui, il segreto del divertimento è racchiuso in questi quattro verbi. Ricorda sempre di rispettare avversari e arbitri, prima fuori e poi dentro il campo. (Continua sottovoce) Magari impara il mio rovescio lungo linea perchè è letale in tutti i tie-break.”

Si avvicina il suo cane, lo accarezza e si scusa: il frisbee è pronto per essere lanciato.

Simone Di Francesco

Di admin