“Il razzismo spiegato a mia figlia” è stato pubblicato per la prima volta  dalla casa editrice Bompiani nel 1998 . Il libro conta negli anni numerosissime riedizioni e traduzioni in tutto il mondo e  non a caso al suo autore, Tahar Ben Jelloun, poeta, romanziere e giornalista marocchino, è stato assegnato, nello stesso anno, il “Global Tolerance Award”, conferito dall’allora segretario delle Nazioni Unite, Kofi Annan, per il messaggio sulla tolleranza  e sul dialogo interculturale tra i popoli. Già dalla prima edizione, questo fortunato volume ha venduto oltre 300.000 copie.

Un grande scrittore ha voluto rispondere alle ingenue domande sul razzismo poste dalla  figlia di soli dieci anni, ed è per questo che è scritto sotto forma di dialogo e con un linguaggio molto semplice e diretto adatto a tutti. 

Il libro è rivolto principalmente ai giovani tra gli otto e i quattordici anni, ma è l’autore stesso ad ammettere che sono soprattutto gli adulti  a trarne beneficio per educare le nuove generazioni.

La narrazione prende spunto da una conversazione tra l’autore e Mérième, sua figlia, quando, durante una manifestazione contro un progetto di legge sull’immigrazione, la bambina comincia a porre molte domande sul razzismo.

“Dimmi, Babbo, cos’è il razzismo”?

“Tra le cose  che ci sono al mondo, il razzismo è la meglio distribuita. E’ un comportamento piuttosto diffuso, comune a tutte le società tanto da diventare , ahimè banale.”

Infatti, Ben Jalloun spiega alla figlia “che non si nasce razzisti, lo si diventa. Per una buona o cattiva educazione. Tutto dipende da colui che educa, che questa sia la scuola o la casa.” La definizione che l’autore dà del razzismo è disarmante e chiara nella sua semplicità: “Il razzismo consiste nel non fidarsi e anche a disprezzare delle persone che abbiano caratteristiche fisiche o culturali diverse dalle nostre”…

“Il razzista ha la tendenza a non fidarsi di ciò che è nuovo e sovente si ha paura di ciò che non conosce”.

Mérième riassume le spiegazioni del padre, affermando che “il razzismo viene da: 1) la paura, 2) l’ignoranza, 3) la stupidaggine.” 

La bellezza di questo libro è tutta nella immediatezza e nel messaggio che contiene e nell’invito a lottare tutti contro ogni forma di razzismo, un impegno quotidiano che deve cominciare nei luoghi deputati all’educazione, come la famiglia e la scuola. 

È nella conoscenza che sta la lotta contro il razzismo e ci piace pensare che la chiarezza e la competenza con cui l’autore esprime questi concetti così complicati nasca anche dai suoi studi filosofici a Rabat e dalle sue lotte: fin da studente, è stato rinchiuso, insieme ad altri 94 giovani compagni, nei campi disciplinari militari nel 1966 e liberato solo nel 1968. Nato a Fès (Marocco) nel 1944, dopo la parentesi dei campi, riprende gli studi, ma nel 1971 si trasferisce in Francia, specializzandosi in psichiatria sociale. A un anno appena dal suo trasferimento, pubblica una raccolta di poesie e viene notato dal giornale Le Mondepresso cui lavora.

La lettura del libro ha sollecitato in me numerosi spunti di riflessioni. Mi è piaciuto lo stile asciutto e  la semplicità lontana da ogni retorica, con le quali il padre di Mérième spiega un concetto così vasto e difficile come il razzismo. Ne consiglio a tutti la lettura, dato che ancora dopo ventitré anni dalla prima pubblicazione, continua ad essere un ottimo modo per spiegare un feno,meno così tristemente diffuso. Il multiculturalismo non è più una possibilità. E’ una realtà che nessuno può cambiare anche se bisognerà fare ancora molta strada. La convivenza e l’inclusione si imparano: è un fatto di “educazione”! 

 Matteo Mirarco

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