Calcio e tanta solidarietà. Corre su questi due binari la vita di Eusebio di Francesco. Ex calciatore della Roma con cui ha vinto nel 2000/2001 il campionato italiano di serie A, oltre che della nazionale, attualmente è un allenatore di rilevanza internazionale. Da sempre Di Francesco è impegnato nel sociale al fianco di organizzazioni no-profit come l’Associazione donatori del midollo osseo(ADMO). La redazione di Arché ha avuto il privilegio di incontrarlo.
G: Eusebio, tutti si chiedono la motivazione di questo nome?-
E: Mio padre era innamorato di un grande calciatore portoghese del passato, pallone d’oro nel 1965, si chiamava Eusebio da Silva Ferreira, uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi, soprannominato la “pantera nera”.-

G: Quindi già nel nome era scritto il tuo futuro?
E: “Per aspera ad astra”, come dicevano i latini. Si arriva alle stelle solo attraverso il duro lavoro. Si può dire che la mia vita sia da calciatore sia da allenatore è stata segnata sempre dal sacrificio ripagato dai successi sportivi.

G:Sicuramente la famiglia da cui provieni ti è stata d’esempio.
E: Mio padre e mia madre hanno da sempre lavorato nel campo alberghiero e della ristorazione. Da zero sono riusciti a creare l’hotel ristorante Dragonara anche grazie al lavoro mio (poco) e soprattutto dei miei fratelli che oggi proseguono l’evoluzione e la crescita della struttura alberghiera. Quante volte da ragazzo mi trovavo in mezzo ai tavoli a servire vivande per i commensali, sicuramente una scuola che mi ha insegnato il valore del sacrificio e del lavoro.-

G:Come hai iniziato la tua carriera calcistica?-
E:Veramente da ragazzo ho iniziato come corridore di biciclette, ed ero anche molto promettente. Ma l’attrazione per il pallone che rotola ha vinto su tutto. Dai campi di calcio con i miei amici sono passato prima alle giovanili della squadra del mio paese, Sambuceto calcio, per poi essere selezionato dall’Empoli.

G: Raccontaci da quel punto in poi come sei arrivato a giocare alla Scala del calcio (Stadio Meazza di San Siro di Milano)
E: Dopo le giovanili con l’Empoli ho esordito in serie C e in serie B con loro per poi passare prima alla Lucchese e quindi al Piacenza in serie A. A quel punto mi hanno notato i grandi club e, nonostante le numerose richieste, ho preferito scegliere la Roma anche per riavvicinarmi a casa. La scelta è stata felice perché nel 2000/2001 ho vinto l’ultimo scudetto della storia della squadra capitolina. Nel 2005 ho chiuso la carriera da calciatore con il Perugia in serie A per poi nei tre anni successivi prepararmi alla nuova avventura da allenatore.

G:Il futuro era scritto, eri un allenatore in campo-
E: Ho sempre prediletto le situazioni tattiche ed il gioco di squadra, senza i quali non si raggiungono risultati di vertice, all’esasperato individualismo che non sia al servizio del collettivo

G:Come sei arrivato quasi alla finale di Champions?-
E: Ho iniziato ad allenare alla Virtus Lanciano, vincendo un campionato di serie C con il Pescara, per poi passare a guidare il Lecce in serie A, seguito dall’avventura che mi ha consacrato nella massima serie del calcio italiano con il Sassuolo. Nella squadra emiliana ho vinto un campionato di serie B, ma soprattutto ho trovato una seconda famiglia. E’ stato molto difficile il distacco, quando la Roma nel 2017 mi ha chiamato come primo allenatore. Come spesso accade al cuore non si comanda ed ho accettato la sfida di portare la Roma prima in Champions e poi quasi in finale.-

G: Nessuno è mai riuscito a sconfiggere il Barcellona in Champions partendo da un 3-0 iniziale.-
E: Messi e compagni sono una delle squadre più forti degli ultimi cinquant’anni, ci sono voluti un’anima da lottatore, un’organizzazione tattica adeguata ed anche un pizzico di fortuna. Certo che le emozioni dell’ Olimpico pieno (lo stadio di Roma) che come un dodicesimo uomo in campo ti spinge all’impresa sono impagabili!

G:Poi cos’è mancato con il Liverpool per poter arrivare in finale?-
E:Eravamo riusciti di nuovo nell’impresa, ma un rigore e l’espulsione negati hanno avvantaggiato gli Inglesi.-

G:E’ più emozionante una semifinale di Champions o il sorriso di un bambino a Sarajevo?
E: Ora mi stai facendo emozionare, perché il ricordo della missione di pace per portare doni ai bambini devastati dalla guerra in Bosnia fa capire che nella vita, i valori più importanti, non sono quelli delle vittorie, ma della famiglia e dei sentimenti.

G:Hai già progetti per il futuro?-
E:Al momento penso solo alle partite di paddle con i miei amici. Ma mai dire mai ad una nuova avventura sempre dietro l’angolo, forse questa volta nel calcio estero, che è meno avvelenato di quello nostrano.

G:Vuoi toglierti qualche sassolino dalla scarpa?
E:Non è stata mai una mia caratteristica quella di prendermela con gli altri per i risultati ottenuti e non. Di persone che ti affiancano per poter solo sfruttare la tua immagine e il tuo consenso il mondo del calcio è pieno, ma l’educazione che ho ricevuto mi impone di non replicare a falsità ed a tentativi di delazione.
Vado avanti per la mia strada e chi mi cerca è solo perché conosce sia le mie capacità tecniche che quelle umane.

Daniele Cianci

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